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PASTAIO

Da sempre la pasta è stata un genere di prima necessità. A Bisacquino, intorno al 1940, con uno stelo detto “ buscio “(pianta perpetua di verdura, Buxus sempre virens) si preparava un particolare tipo di pasta: i “ maccarruna cavati”: questi si ottenevano impastando la farina di semola con acqua nella  “maidda”, successivamente si passava nello “scanaturi”per dare consistenza; poi per evitare che la pasta seccasse si ungeva di olio e veniva tagliata a striscioline, poi a cubetti ed infine si attorcigliavano questi pezzettini attorno al “buscio”. Oltre ai maccarruna  sempre manualmente si preparavano: gli gnocchi, le lasagne i fusilli e i  “tagghiarini “.questi tipi di pasta richiedevano molto tempo per la produzione; con l’avvento dell’arbitrio i tempi si ridussero, infatti non era più necessario fare la pasta, ma bensì settimanalmente. Usando un pitto di rame diverso dall’arbitrio fuoriusciva: maglie napoletane, spaghetti, bucatini detti anche “pirciateddi”,”attuppateddi”, “cavatuneddi”, “maccarroncini “ ecc. Nonostante l’innovazione dell’arbitrio, la lavorazione della pasta era analoga a quella già descritta.

La farina era amalgamata con l’acqua, poi passata nella “sbriga” si “caddiava”, cioè si lavorava per raffinarla; questa operazione essendo faticosa veniva eseguita da due donne, una che batteva l’asse della sbriga, e l’ altra che girava l’impasto. Trascorso il necessario per riposare, l’impasto veniva messo ne cilindro dell’arbitrio si girava il vermiglione centrale tramite “la stanga” e man mano che la pasta usciva di sotto il tavolo, qualcuno la tagliava all’altezza stabilita. Questa ultima operazione richiedeva una certa maestria.; rinomata a Bisacquino era una famiglia che soprannominata “Taglierini “per il fatto che tagliavano la pasta velocemente e con precisione la pasta quando usciva dall’arbitrio. Le varietà di essiccazione variavano a secondo del formato di pasta prodotta;  gli spaghetti era stesi nella canne ad asciugare per due o tre giorni; i tipi di pasta corta erano disposti nei “ trivi” o sulle tavole di legno di noce al sole. Una famiglia da 6 persone mediamente impastava tre “munneddi” di farina a settimana equivalente a 9 kg. Di farina :  - 1 “tummino” di frumento  equivaleva a 16 kg. – 1 “ tummino “di farina equivaleva a 12 kg. -1 ” tummino” di farina equivaleva a 4 “munneddi”- 1  “munneddu” equivaleva a 3 kg.

Per esempio con un “munneddu” scarso di farina potevano mangiare circa 10 persone in quanto si realizzavano cinque foglie di lasagne. A differenza della pasta fresca che si preparava tre volte a settimana, la pasta fresca una volta a settimana preferibilmente il sabato. La pasta secca rispetto a quella fresca aveva il vantaggio di potere essere conservata, inoltre essendo un alimento prezioso nella vita di ogni giorno, se né favorì la distribuzione con l’apertura di numerosi pastifici, concentrati nella zona del Carmine e della Piazza, e più precisamente:  

-Pastificio Spatafora (cipolla )in via Carmine di fronte a ex pasticceria Campagna.

- Pastificio Maenza (“Tagghiarini”) in via Carmine poco al di sotto dalla l’omonima chiesa.

-Pastificio Palisi in corso Triona –pastificio Angelina Lo Voi(“Pucidda”)in Via Piave.- Pastificio Romano (“Marranche”). –Pastificio Biagio Pizzitola (“Occhitorti “) in via Savoca –Mulino Pastificio Madonna del Balzo in via Orsini, di dimensioni industriali tanto che sia la farina che la pasta si esportavano in tutta la Sicilia: - Mulino Pastificio “Bonfiglio”di dimensioni più piccole rispetto al precedente poi diventato Oleificio Lo Voi  - Mulino Pastificio “San Giuseppe “ nel Largo San Francesco di Assisi di piccole dimensioni. Poiché la pasta acquistata nei pastifici non era confezionata, come oggi,all’ dell’acquisto bisognava premunirsi di un sacchetto di stoffa. Chi non aveva la possibilità di pagare in contanti faceva “detta”(credito) annotava sui bastoncini di “ferla” l’equivalente di pasta presa; a fine settimana o a fine mese andava a regolarizzare i conti.

Intorno al 1935 il costo della pasta oscillava da una lira a due soldi al kg. Col passare degli anni si arrivò a dieci quindici lire al kg.. I macchinari risalivano alla metà del secolo scorso, mentre gli arbitri domestici sono del 1950. un esemplare di arbitrio di proporzioni industriali all’interno del museo che non molto tempo fa si trovava al boccone del povero. Questo arbitrio è composto da un tavolo in legno detto “piede” costruito da falegnami locali, da un ingranaggio in ferro e rame, da un trascinatore, un lungo ceppo di legno in cui veniva arrotolata una catena. Nei pastifici altri piccoli oggetti erano: un ventagli piccolo chiamato “ muscaloru”che serviva a raffreddare la pasta uscente dall’arbitrio ancora calda; e la cesoia composta da una tavoletta e da una lama che serviva a tagliare particolari tipi di pasta. 

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