Gli artigiani che fornivano strumenti da taglio lasciavano ai “tuppara “ la produzione di serrature e strumenti quali “zaccurafi”, “cancari”, “striggìhie” e “capizzuna” e forbici per tagliare la criniera dei cavalli. Intorno al 1930-35 a Bisacquino c’erano diverse botteghe quanto sopra detto erano:
- bottega Ficarella , Cortile Segretario ; -bottega Caldarera Ludovico, via Mancuso – bottega Liquori, via Colca , - bottega Costa Alfonzo, vicolo Forno Antico;-bottega Di giogo Francesco, via Sardegna; - Bottega Canzonieri Giuseppe, via Lo Jacono.
Un artigiano particolarmente estroso, ma di poca affidabilità era Pasquale Bertino detto “mezzaceddu”, il quale aveva molta fantasia, realizzava sia toppe che chiavi particolari per collezionisti. Oggi di queste botteghe non ne rimane traccia, l’unico che ha continuato fino a non molto tempo fa era , Giuseppe Caldarera, la cui bottega si trovava di fronte alla chiesa di S. Antonio, ma si limitava alle riparazioni in quanto quei manufatti sono stati sostituiti da generi nuovi
Un altro che ereditò la bottega Ficarella, voleva continuare questo mestiere fu Antonio Pernice, ma resosi conto che c’era molto da lavorare e poco da guadagnare, emigrò in Germania.
Poiché una sezione del museo di Bisacquino, dedicata al fabbro ferraio, raccoglie molti strumenti usati dal tupparo e diversi suoi manufatti. Le chiavi per le serrature venivano eseguite dai mastri perché richiedevano maggiore attenzione rispetto alle toppe. Il ferro tondino veniva acquistato già pronto della lunghezza di circa due metri, si tagliava in pezzetti di quindici centimetri, il necessario per fare la chiave e si riscaldava alla forgia, alimentata dal mantice, quando era malleabile un pezzettino si piegava, si appiattiva all’incudine e si faceva la “ mannara”. Successivamente sempre riscaldando alla forgia si faceva un buco all’estremità opposta della mannara, si metteva nella punta dell’incudine e si allargava a poco a poco, fino a formare l’anello; infine si limava e venivano fatte le “ guardie” cioè le scanalature nella mannara. Come si può notare questo tipo di chiave era un unico blocco, senza saldature, quelle realizzate in tempi più recenti, a livello industriale, sono saldate. Un altro oggetto realizzato era il “catenaccio”dentro il blocco rotondo scorreva scorreva una serratura uguale a quella già descritta; esternamente il blocco era ancorato all’asta per mezzo del “ cardillo “. Mentre la toppa veniva collocata internamente a una porta o portone il catenaccio era all’esterno e per essere fissato necessitava di due chiodi “a occhio” all’interno dei quali scorreva l’asta. Tutti i manufatti venivano preparati in grande quantità durante l’inverno, per poi essere venduti durante le fiere. Si partiva con i carretti per 8/10 giorni e si alloggiava nei “funnachi”, ampi spazi di sosta poco igienici dove talvolta si prendevano i pidocchi,ma che accoglievano tutti i commercianti di passaggio per quel paese. Le fiere più grosse erano Enna, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Palermo.